Giornalista, scrittore, saggista, autore e conduttore televisivo: ospite il 1 maggio ai microfoni di Jolly Roger - La radio dei pirati, Giovanni Floris, che ha risposto senza indugio alle domande “scomode” dei giovani speaker romani, spaziando dalla carriera nel giornalismo all’importanza dello studio, fino al significato di “inclusione”.
Perché hai deciso di diventare scrittore e giornalista e cosa ti piace di più del tuo lavoro?
In tutta sincerità, sono diventato scrittore come conseguenza, perché quando sei in televisione ti offrono di scrivere. Ma ho sempre sognato di fare il giornalista: mi ricordo una lezione che un giornalista del Messaggero aveva tenuto alle medie, spiegando come fosse il mestiere del giornalista, e a me era venuta voglia di farlo. Da allora ho sempre e solo pensato a quello.
Meglio la radio o la televisione? E com’è stato fare l’attore, anche se per una piccola parte?
Ho fatto spesso la comparsa nei film di Paolo Genovese, regista di Follemente e di Perfetti sconosciuti e mio amico d’infanzia; mi ha fatto fare tante comparsate fino a che non ho iniziato a far televisione, dopodiché non più perché mi avrebbero riconosciuto. Detto questo, è molto divertente fare la radio, davvero, perché puoi stare nel luogo dove succedono gli avvenimenti, è molto veloce ed è anche molto vera. Quello che ti viene in mente lo dici, è immediata.
Quale è stata l’intervista più difficile che hai fatto e quale la più divertente?
È difficile sceglierne una in particolare perché dipende sempre anche un po’ dall’intervistato e un po’ dal tuo stato d’animo. Ci sono interviste che magari temi da tanto tempo, per le quali ti devi preparare, come ad esempio quelle ai ministri dell’economia, in cui sei sempre talmente terrorizzato di andare male che ti prepari così tanto che alla fine vai bene. Perché la paura è sempre il più grande motore per la preparazione, per lo studio. Le più divertenti in realtà sono moltissime, a me diverte molto interagire con Luca e Paolo ora che facciamo la copertina con loro perché sono due persone tanto intelligenti, ma è un piacere fare anche le interviste con Corrado Augias, che è una persona molto colta che ha sempre un taglio piuttosto ironico in quello che dice.
Un consiglio per i giovani di oggi che si vogliono avvicinare al mondo del giornalismo?
Il consiglio è per tutti, quale che sia il mondo a cui si vogliono avvicinare: studiare tanto. È l’unica via d’uscita, perché le opportunità sono sempre di meno quindi bisogna essere molto preparati, conoscere il mondo in cui si entra e prepararsi per entrare. In fondo la chiave è sempre la stessa qualunque sia l’obiettivo: prepararsi.
All’indomani della festa dei lavoratori, fanno riflettere alcuni dati: su circa 3 milioni di persone diversamente abili nella fascia d’età 15-64, solo il 32,5% risulta occupata contro il 58,9% della media nazionale. Come comunicatore e volto importante della televisione italiana, pensi anche tu che i nostri mezzi di comunicazione fatichino a dar voce realmente a tutti, rappresentando anche la disabilità?
Siamo in un Paese che non è abituato alle diversità in genere, è la diversità, qualche che sia, a tagliare fuori le persone dal discorso pubblico. Che si tratti di disabilità, di una cultura diversa o di una questione di genere, l’Italia è un Paese non abituato alle diversità. Dal mio punto di vista, sul piano della comunicazione, è un lavoro difficile perché devo riuscire, in qualche misura, a fare in modo che la diversità venga accettata come categoria, al di là della sua manifestazione specifica.
Quale programma ti piacerebbe condurre che ancora non hai condotto e qual è stato quello che ti è piaciuto di più condurre?
Quello che mi è piaciuto di più è Dimartedì adesso perché è un momento talmente importante per la nostra storia e la nostra politica, e per la politica degli altri Paesi, che sono contento di esserci. In futuro mi piacerebbe condurre qualcosa legato al calcio, di cui sono sempre stato innamorato.
Quali libri hai scritto e qual è il tuo preferito?
Ne ho scritti diversi, di due categorie: romanzi e saggi. I primi ti permettono di inventare, sono il contrario del giornalismo che deve essere sempre aderente alla realtà dei fatti, il romanzo invece ti permette di inventare. Questi sono i libri che mi piace scrivere di più.
Che cosa significa per te la parola “inclusione”?
Per me è l’accettazione della diversità. “Includere” è un verbo che può essere dedicato a qualsiasi categoria, situazione, pensiero, a qualsiasi suggestione. “Inclusione” significa avere la mente aperta, che per me è la qualità base per vivere nel nostro mondo.