Interviste
Quattro chiacchiere con Giulia Mizzoni: dall’intervista a Francesco Totti all’importanza della fragilità
La giornalista ha risposto senza mezzi termini alle domande degli speaker-pirati di Jolly Roger
Alessandra Testori | 7 aprile 2025

Giornalista sportiva da giovanissima età, volto di DAZN per tre anni e oggi inviata della Champions League per Amazon Prime Video: Giulia Mizzoni risponde alle domande scomode degli speaker di Jolly Roger - La radio dei pirati.

Perché ti sei appassionata al calcio?

Mi sono appassionata perché fin da quando ero bambina, a quattro o cinque anni, il televisore di casa mia alla domenica aveva lo sfondo verde perché mio papà guardava tutte le partite, quindi ho sempre respirato il calcio. Poi la mia passione personale è arrivata nel ’98 quando avevo 14 anni perché seguivo i mondiali, all’invio per gioco, con gli amici, per stare insieme il pomeriggio si guardavano e non si guardavano. Invece alla fine mi sono appassionata e quando Di Biagio ha sbagliato quel cavolo di rigore piangevo come una fontana! Da lì ho capito che mi ero appassionata al calcio e soprattutto che avrei voluto fare questo mestiere. L’ho deciso a 14 anni.

È difficile conciliare la vita lavorativa con la famiglia?

Sì, decisamente. Lo dico senza mezzi termini, soprattutto per noi donne e mamme lo è. Io in particolare ho un marito che gira molto l’Italia durante la settimana quindi sono spesso sola con mio figlio però durante la settimana seguendo la Champions a volte parto, vado fuori, giro l’Europa…Ho la fortuna di avere i nonni vicini, che certamente aiutano, ho una tata nei giorni in cui parto, ma questo, ripeto, è una fortuna, bisogna potersela permettere. Facendo un discorso più ampio, non relativo solo al mio orticello ma relativo a tutte le mamme lavoratrici, di qualsiasi lavoro si tratti: bisogna vivere a incastro. Su questo, come Paese, potremmo migliorare. Da un lato abbiamo il calo delle nascite e i politici che si allarmano, dall’altra però si fa veramente ben poco per incentivare le famiglie numerose e soprattutto le donne a fare figli. Non è un caso, leggevo proprio ieri, che specialmente a Roma si diventa mamme sempre più tardi perché, ovviamente, questa situazione di precarietà, mancanza di aiuti e incertezze, certamente non incentivano a creare una famiglia. Hai paura di perdere il posto, hai paura di non farcela a conciliare le due cose…insomma, siamo un po’ indietro su questo punto.

Qual è la cosa che ti piace di più del tuo lavoro?

L’attuale lavoro è particolare perché vado in giro e soprattutto sono sul campo di calcio, per novanta minuti più il prepartita sto proprio lì sul campo, a pochissimi centimetri dai super big del calcio che si stanno scaldando. A volte vengono anche dove siamo noi perché salutano uno dei talent scout con cui lavoro perché è un ex calciatore che conoscono, quindi la cosa che mi piace di più è essere così vicina all’evento, avere la fortuna di poterlo raccontare guardandolo proprio da vicino. Questo è l’aspetto che mi emoziona ancora ogni volta, benché siano tanti anni che faccio questo lavoro, tanti anni che vado sul campo, però ogni volta c’è una sfumatura, una particolarità, qualcosa che noto che ancora mi fa emozionare.

Sappiamo che sei amante della buona cucina, qual è il tuo piatto preferito?

Confermo, sono amante della buona cucina e del buon vino, senza esagerare ovviamente, e tra i miei piatti preferiti c’è la pasta in generale. Io sono proprio una “pastasciuttara”, come si dice a Napoli. Anche la pizza comunque, soprattutto quella scrocchiarella romana, non la disdegno, anzi. Ma sono anche golosa di dolci, soprattutto del cioccolato.

Cosa pensi del mondo del calcio di oggi? Com’è cambiato?

Dovremmo fare una trasmissione intera su questo tema! È molto cambiato: gradualmente (ma neanche tanto) è diventato sempre più business, sempre più marketing, sempre molto più immagine. Adesso noi vediamo tanti calciatori soprattutto quelli più in vista che sono proprio delle vere e proprie operazioni di marketing viventi, sul campo e fuori. Forse prima c’era una realtà ancora un pochino avvicinabile anche per noi comuni mortali; adesso il business ha preso il sopravvento, cosa che credo anche abbastanza naturale visti i soldi che il calcio sposta e quanto rappresenta anche dal punto di vista del PIL in Italia. Quindi è tutto molto legato al fatto che più si muovono soldi più qualcosa cambia soprattutto dal punto di vista del marketing, però questo purtroppo ha tolto un po’ di autenticità al calcio. È bello invece quando ci sono delle realtà o delle situazioni, anche relative a grandi squadre e grandi campioni, che ci riavvicinano un pochino alla genuinità del calcio e a quei valori che lo sport in generale porta con sé. Questo ancora, seppur senza continuità, il calcio ancora lo ha mantenuto e grazie a questo sport ancora ci emozioniamo parecchio.

Quale giocatore più famoso hai intervistato?

Due mi sono rimasti nel cuore perché sono stati momenti molto emozionanti della mia carriera, anche se uno non era già più giocatore quando l’ho intervistato perché faceva il dirigente della Roma, cioè Francesco Totti. L’altro è stato Cristiano Ronaldo il giorno in cui ha vinto lo scudetto della Juventus, sebbene siano state proprio due domande al volo, trenta secondi, però è stato molto emozionante. Direi che questi due sono stati i giocatori top che ho intervistato.

Qual è il tuo giocatore preferito?

Tra quelli in attività del campionato italiano io impazzisco per Barella, mi piace proprio tantissimo, ma ce ne sono tanti che mi piacciono. Per quanto l’estero invece ho una passione smodata per Pedri del Barcellona, Musiala del Bayern, tutti questi giocatori di talento. Ovviamente anche Lamine Yamal, questo ragazzo così giovane [17 anni, ndr] che ha già battuto qualsiasi record. Stavamo riflettendo, visto che farò il Barcellona nella prossima Champions, che questo ragazzo ha già battuto anche i record di un signore che si chiama Lionel Messi, che alla sua età ancora non aveva esordito nella Liga. E Lamine Yamal è già joker nazionale, segna gol, partecipa alla Champions, è incredibile.

Quali coreografie ti sono rimaste impresse?

Una in particolare, avvenuta durante un periodo un po’ buio della mia carriera, mentre cercavo di restare nel giro ma ero fuori dalle grandi realtà televisive come Sky o DAZN, e cercavo di fare il più possibile. Ero allo stadio San Siro di Milano e c’era o il derby o Inter-Juventus (perdonatemi ma sono passati dieci anni): la coreografia fu quella della Curva dell’Inter che scrisse la frase: “Mi fai tremare il cuore, mi fai smettere di respirare”. L’ho trovata così romantica…mi piacque tantissimo, ricordo che mi emozionò molto.

Giulia, tu spesso racconti di una vita apparentemente luccicante, quella della giornalista sportiva, ma in realtà molto normale, fatta anche di momenti di fragilità, di crisi. Lo fai sui social, lo fai nel tuo lavoro, e lo fai anche in questo momento con grande trasparenza. Noi facciamo parte di un progetto sociale che si occupa di fragilità: grazie all’impresa sociale Con i bambini riusciamo a realizzare attività rivolti a minori con fragilità del III Municipio di Roma. La fragilità, però, a volte può essere anche un valore. Perché lo pensi e perché hai scelto di raccontarlo anche tu? Pensi che vada normalizzata, trattandosi non di un’etichetta ma di una situazione in cui ci troviamo tutti in alcuni momenti della vita?

Assolutamente sì. Qualsiasi tipo di fragilità, che si può intendere da mille punti di vista e che può avere innumerevoli gradi di influenza sulla vita, ma tutte possono essere un valore aggiunto anche per chi dal di fuori decide di avvicinarcisi per rapportarcisi. Questo è molto importante perché guardare, avvicinarsi per vedere nel profondo, a volte è veramente un regalo anche per chi di fragilità non ne ha. Facendo un discorso su quelle quotidiane, che tutti noi viviamo, è giusto normalizzarle. Queste immagini onnipresenti di perfezione, da quella fisica a quella mentale, che sembrano dire “Siamo tutti felici, realizzati, perfetti”. Poi la realtà è completamente diversa, visto che pure le foto ci facciamo modificare per sembrare più fighe…la bellezza di saper apprezzare anche la nostra fragilità, anche i nostri difetti fisici e valorizzare la nostra unicità è il passo più importante per ogni singolo individuo. In questo modo si cresce. Le fragilità vanno valorizzare, accettate e normalizzate, visto che si tratta di momenti di smarrimento che abbiamo tutti. Questi momenti esistono per tutti, dalla mamma che sta a casa alla donna in carriera; siamo esseri umani, ci vogliono un po’ robotizzare ma non caschiamoci, ricordiamo che molto di quello che vediamo in realtà non esiste.

Parlando di fisici perfetti: fai qualche sport?

Come no! Pratico il pugilato e lo alterno anche ad altri tipi di allenamenti sempre molto fisici perché mi piace sfogarmi. In realtà ho la schiena a pezzi, quindi sarebbe meglio se facci pilates o ginnastica postulare, ma io mi diverto a muovermi, a faticare, a me la fatica piace! Infatti lo sport è un po’ la metafora della vita: nella vita nessuno ti regala niente, da nessun punto di vista. Quando le cose sono facili, dico sempre, c’è qualcosa che non va, da qualche parte stiamo mollando o qualcuno ci sta aiutando. Ammetto comunque di fare sport anche per la forma fisica, sono felice di essere in forma ma senza essere tormentata dalla perfezione.

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