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La violenza sulle donne durante il Covid-19
La testimonianza di chi ha reagito alle violenze
Lorena Bacile | 23 marzo 2021

La Giornata internazionale dei diritti della donna ricorre l'8 marzo di ogni anno per ricordare sia le conquiste sociali, economiche e politiche, sia le discriminazioni e le violenze di cui le donne sono state e sono ancora oggetto in molte parti del mondo. Viene associata alla Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne istituita il 17 dicembre 1999 e che cade ogni anno il 25 novembre. Questa celebrazione si tiene negli Stati Uniti d'America a partire dal 1909. In alcuni paesi europei dal 1911 e in Italia dal 1922. Specialmente in passato e ancora oggi dall'Unione donne italiane e nell'accezione comune viene chiamata Festa della donna anche se è più corretto Giornata internazionale della donna, poiché la motivazione non è la festa ma la riflessione.

L'indagine di ricerca del Cnr-Irpps

Secondo un'indagine condotta dal gruppo di ricerca MUSA del Cnr-Irpps, il Covid-19 ha impattato negativamente soprattutto sulle donne, sia a livello psicologico che lavorativo (significativo anche l'aumento delle violenze domestiche). A partire da fine marzo 2020, il gruppo di ricerca MUSA dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irpps), tramite l’Osservatorio Msa-Covid-19, ha condotto due indagini che mirano a esplorare, analizzare, e proporre previsioni circa gli effetti psicosociali della ridotta interazione sociale e della prolungata convivenza abitativa. Lo studio, che ha originato tre articoli sulla rivista internazionale European Review for Medical and Pharmacological Sciences, riguarda la dimensione interpersonale, psicologica ed economica del distanziamento sociale.

Gli effetti della pandemia 

In totale sono state raccolte oltre 140.000 interviste nella prima indagine e circa 5.000 nella seconda (indagine di confronto), con una copertura territoriale che si estende a tutte le regioni di Italia. La terza fase di studio degli effetti psicosociali ed economici conseguenti alla pandemia è stata invece avviata lo scorso 25 novembre, in occasione della Giornata per l'eliminazione della violenza contro le donne. La ricerca ha evidenziato, in questa fase di costrizione, un’elevata quota di incertezza per il futuro, che riguarda indistintamente tutti, ma in particolare le donne. Gli effetti collaterali del distanziamento sociale sono numerosi e interconnessi. Sotto il profilo emotivo, per esempio, è stato osservato che le emozioni complessivamente dominanti sono la tristezza, la paura, l'ansia e la rabbia, mentre in questa fase la felicità è molto più rara. Ricorrono spesso forme di disagio connesse all’assenza di rapporti con il mondo esterno. Tra questi anche l’aumento di stati depressivi, disturbi di tipo alimentare e abuso di giochi elettronici e di alcool. Il distacco dagli altri bambini, dovuto al distanziamento sociale, sta inoltre creando disagi nel 64,5% dei minori di 12 anni e nel 33,5% emerge un significativo abuso di internet a scopo di gioco.

La condizione lavorativa

Sul piano del lavoro, a causa dell’interruzione di molte attività produttive, circa 4 persone su 10 prevedono consistenti perdite economiche, più di una su 10 perderà il lavoro o chiuderà la propria attività e due su 10 andranno in cassa integrazione. Come emerge dalle indagini svolte, molte scelte individuali (anche semplicemente su come passare il tempo) sono condizionate da una visione stereotipata dei ruoli sociali. In altre parole, si tende ad attribuire ad altri o ad accettare per sé stessi una serie di comportamenti «canonici». Ma dai dati raccolti sono emersi altri elementi. La ricerca rileva, infatti, che la scarsa cultura, la religiosità e l'orientamento politico di destra sono fattori che contribuiscono a una visione stereotipata di genere. È stato anche osservato che questa idea di ruoli naturali di genere è tendenzialmente più presente nel Mezzogiorno e cresce all'aumentare dell'età. Che cosa provoca tutto questo? Le convinzioni dettate da una visione condizionata dei ruoli sociali, stanno talvolta alla base di episodi di violenza: lo stereotipo si trasforma in pregiudizio, che a sua volta diventa discriminazione e poi violenza.

I risultati dell'indagine 

Dalla prima alla seconda indagine è stato infatti osservato un aumento della percezione del rischio di violenza di coppia. In particolare, si assiste a un aumento di circa il 6% di percezione del rischio di violenza psicologica dell'uomo sulla donna (dal 17,9% della prima indagine al 24,1% della seconda) e un aumento di più del 2% della percezione del rischio di violenza psicologica della donna sull'uomo (dal 10,5% al 12,8%); è stato poi rilevato un incremento del 5% di percezione del rischio di violenza fisica dell'uomo sulla donna (da 15,8% a 20,8%) e di circa l'1% della donna sull'uomo (da 4,2% a 5,1%). L'analisi CNR documenta un aumento della percezione del rischio di violenza, non del fenomeno in sé (si tratta infatti di dati autoriferiti, dato che però indica una possibile enfatizzazione delle criticità dovuta alla convivenza forzata dal distanziamento sociale). L'isolamento protratto e non cercato può generare noia, frustrazione e un generale rilassamento delle norme e abitudini acquisite.

La testimonianza di una donna vittima di violenza 

M. è nata a Bucarest, città dove è cresciuta e dove ha conosciuto e sposato il padre di suo figlio. Arriva a Padova nel 2004 con il figlio, ora maggiorenne, e un marito possessivo e violento (oggi ex marito) con cui vive un rapporto malato. Per anni subisce maltrattamenti, violenze fisiche, psicologiche e sessuali tra le mura domestiche. «Da tempo ormai – a causa di tutte le violenze fisiche e psicologiche che da anni subivo, spesso davanti a mio figlio – ero caduta in una forte depressione. Sapevo di non potercela fare da sola, ma non conoscevo nessuno. Mio marito mi aveva costretta a vivere in una prigione, non potevo uscire né stringere amicizie. Dovevo restare a casa ad aspettarlo. Un giorno, guardando una trasmissione in televisione che trattava il tema della depressione e degli attacchi di panico, mi dissi: “Ma questa sono io. Non posso restare in questa situazione, devo assolutamente chiedere aiuto" [...] Mi recai all’Ulss vicino a casa e chiesi di incontrare uno psicologo che confermò la depressione e mi prescrisse delle pillole. Iniziai a curarmi, nonostante mio marito fosse contrario. Le cose non miglioravano, continuavamo a litigare e io a subire le sue prepotenze. Così un giorno decisi di prendere più pillole del solito, non certo per farla finita ma con la speranza di stare male abbastanza per poter arrivare al pronto soccorso, parlare con qualcuno, chiedere aiuto e protezione e non tornare a casa mai più. Iniziai a sentirmi male un poco alla volta, la situazione si faceva sempre più critica e mio marito fu costretto a chiamare l’ambulanza. Giunta all’ospedale, la sera stessa incontrai una psichiatra e scoppiai in lacrime raccontandole tutto: “Andate a prendere mio figlio – dissi – vi prego”».

Successivamente, entra in contatto con gli operatori di Casa Viola, lì viene aiutata e conosce altre donne nella sua stessa situazione. Con l’aiuto di Gruppo Polis ha trovato anche lavoro.

“Non potrò mai dimenticare: il dolore probabilmente mi resterà incollato addosso per sempre, ma quel che conta è che ne sono uscita e ora sono qui a parlarne. Ho un buon lavoro e un nuovo appartamento, punti fermi che mi permettono di vivere in pace, senza troppe preoccupazioni. E tutto questo grazie alle persone che mi hanno aiutata a reagire, liberarmi e ricominciare. È questo che vorrei dire a una donna che sta vivendo oggi la situazione che ho vissuto io: di non aver paura, di reagire e denunciare. Bisogna avere coraggio perché non siamo sole, ci sono molte persone disposte ad aiutare. Oggi posso dire di avercela fatta e sono fiera di me: ho chiesto aiuto e sono riuscita a rialzarmi».

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