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La letteratura a scuola dimentica le donne
Una riflessione sul perché i programmi scolastici ricordano a stento le autrici donne
Sabrina Cullotta | 9 marzo 2021

Dante Alighieri, Giovanni Boccaccio, Francesco Petrarca sono alcuni degli autori più stimati e preponderanti nella letteratura italiana classica. D’altronde, come negarlo? Sono alla base sia del nostro bagaglio culturale che della nostra forma mentis: hanno fatto luce su alcuni aspetti della realtà che ci circonda, hanno scavato dentro loro stessi e condiviso i loro pensieri, dissidi interiori e sentimenti con tutto il mondo. Sono autori formativi per lo studente che è doveroso studiare, ma quando la lista si allunga salta subito all’occhio come tutti i più grandi autori classici studiati siano prevalentemente uomini. Se ci facciamo caso, quante autrici donne vengono effettivamente citate nei nostri libri di testo di letteratura? Anche se è solo a partire dalla seconda metà dell’Ottocento che le donne di tutto il mondo cominciano a dare libero sfogo ai loro pensieri in forma scritta, il Novecento italiano è pieno di autrici degne di nota, che hanno fatto la storia, che si sono aperte al mondo dandoci un’ulteriore occasione per scavare dentro noi stessi, riscoprire i nostri sentimenti più profondi e farci riflettere su determinati aspetti della realtà, importanti proprio come un Pirandello, Umberto Eco, Calvino, Pavese e via dicendo. L’unica a essere forse citata è Elsa Morante, nota soprattutto per “L’isola di Arturo”, vincitore del premio strega e grande romanzo di formazione e consolazione per gli adolescenti. E Dacia Maraini, Grazia Deledda, Elena Ferrante, Licia Troisi, che fine hanno fatto?

Alle scuole superiori vengono forse, a stento, citate. Sia alle medie, che nei licei viene nominato un numero troppo esiguo di scrittrici donne. Eppure, le sopracitate sono solo alcune delle tante: non sono state delle semplici autrici marginali nel nostro panorama letterario. Le loro opere ci fanno crescere, sognare, riflettere. Stanno alla base del nostro essere proprio come tutti gli altri capolavori di stampo maschile. Sono delle autrici che, nel tempo, hanno ricevuto riconoscimenti e premi vari, ma i programmi scolastici italiani fanno fatica ad inserirle nei nostri libri di testo. La letteratura italiana è forse sessista? Viviamo veramente, ancora, in una generazione in cui ogni cosa che fa la donna, un romanzo o una scoperta scientifica, sia sottostimata e accantonata solo perché opera di una donna?

Facciamo qualche altro esempio di autrici donne non solo italiane, ma anche straniere, come Jane Austen, Charlotte Brontë e Mary Shelley. Nei banchi delle scuole italiane vengono raramente citate. Forse solo nei licei linguistici. Quindi, volete sapere anche voi perché queste donne nella storia sono state così rivoluzionarie e all’avanguardia nei secoli? Dovrete scoprirlo da soli purtroppo, a meno che non frequentiate il liceo linguistico.

Come abbiamo visto, questa sorta di sessismo nei confronti delle donne è ancora un tabù nella nostra società. Ancora adesso, nell’età contemporanea, la donna-scrittrice fa fatica ad ottenere il dovuto riconoscimento. Le autrici dell’Ottocento e Novecento in poi vengono a stento riconosciute, e lo studente italiano-medio è completamente all’oscuro dell’importanza delle loro opere. Se ci pensiamo, la scrittura è sempre stata preclusa alla donna: nella storia, è sempre stato visto come un mestiere prevalentemente maschile, come se solo gli uomini avessero il diritto a sfogare i loro sentimenti, esprimere le proprie opinioni, fantasticare, denunciare perversioni sociali. No, la donna doveva dedicarsi solamente alle faccende domestiche, perché chi scriveva doveva avere in primis una cultura, spirito critico, cosa che le donne non potevano sviluppare a loro senso, essendo troppo impegnate con le faccende casalinghe. Anche per questo, se ci pensiamo, prima dell’Ottocento non vediamo nemmeno l’ombra di un’autrice. Chissà, in questo modo, quanti capolavori ci siamo persi! Sarebbe stato senz’altro interessante poter leggere questi pensieri, come manifesto di quel particolare (e lungo) periodo storico in cui la libertà di parola era un privilegio concesso solo agli uomini di cultura.

Forse, l’unica autrice storica di cui si ha nota e che viene presa a modello ancora oggi e soprattutto nel passato dai più grandi autori italiani romantici, è la poetessa greca Saffo, che per prima cantò i tormenti di un amore dolce-amaro. A quanto pare in Grecia esistevano già dei valori che, nel tempo sono andati purtroppo persi. Ma, anche la stessa Saffo non viene ricordata, insieme ad Omero, come autrice cardine della storia della letteratura, anche se è una delle prime ad avere scritto poesie sugli effetti che ha l’amore sull’uomo, avendo ispirato a sua volta molti altri poeti. Anche qua, ritenetevi fortunati se andate al liceo classico e studiate letteratura greca, perché di certo, né alle medie, né in altre scuole superiori avrete il privilegio di conoscerla, anche se fondamentale per l’avvento della poesia romantica.

In definitiva, il mestiere della letteratura non è mai stato associato alla donna, sin dall’antichità, e ancora oggi, a quanto pare, non si riesce ad accettare e riconoscere, prediligendo sempre autori maschili rispetto a quelli femminili che hanno avuto un loro pari ruolo. Anche quando la donna ha rivendicato il suo ruolo, la sua condizione sociale e il suo diritto alla scrittura, non è stata degnamente riconosciuta, almeno nei programmi scolastici italiani, che continuano ad escludere ed oscurare l’altra imponente colonna della letteratura mondiale, quella femminile, altresì importante per la nostra forma mentis. Una scrittura femminile, il punto di vista della donna non deve essere sdegnato: le donne non parlano solo di loro stesse, dei loro “complessi” che pochi possono capire. Parlano di sentimenti, visioni del mondo, formazione umana. Raccontano il nostro mondo, proprio come gli uomini. Le loro capacità scrittorie non sono inferiori, ma alla pari. Ovviamente c’è chi ha più talento e chi meno, ma questa è una sorta di rivalità che potremmo condurre anche sul piano maschile. Ma quello che voglio dire, è che la donna non ha meno capacità perché è donna. E se il talento c’è, è giusto che le venga riconosciuto, che vengano inserite nei programmi scolastici italiani, perché non raccontano solo la loro realtà, ma la nostra realtà, quella universale. Descrivono il mondo circostante che ognuno di noi vive. Abbiamo tutti il diritto di conoscerle e studiarle. E ciò non dovrebbero dimenticarlo gli insegnanti italiani.

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