Ambiente
Celebrare la natura: dall’antica Grecia all’Earth Day
Prima dell’invenzione della Giornata Mondiale della Terra qualcuno celebrava già il nostro pianeta? Antichi poeti e scrittori: ecco chi ha dedicato le proprie opere alla Natura prima del 1970
Gaia Canestri | 24 aprile 2024

Come ogni 22 aprile anche quest'anno si è celebrato l'Earth Day, il giorno dedicato alla promozione della consapevolezza sui temi della sostenibilità e della salvaguardia del pianeta. La Giornata Mondiale della Terra si festeggia un mese e due giorni dopo l'equinozio di primavera dal 1970. L'idea venne a Gaylord Nelson, avvocato, dottore e soldato durante la seconda guerra mondiale, il quale profondamente toccato dalle manifestazioni degli studenti contro la guerra in Vietman decise di dare vita a una protesta ambientale

Al giorno d'oggi, quando cambiamento climatico e sostenibilità sono argomenti centrali nella vita di tutti i giorni, questa giornata assume un significato particolare: si arricchisce delle voci di migliaia di giovani, uomini e donne che lottano in tutto il mondo e diventa il momento per spostare l'attenzione dagli uomini alla Terra, la nostra casa che il più delle volte viene data per scontata, come se ci appartenesse da sempre.

Eppure non è dal 1970 che si celebra la Terra, pensate che già nell'antica Grecia la Natura era un tema centrale. Ecco alcune degli autori più celebri che hanno dedicato i propri scritti al pianeta prima che venisse inventata la Giornata Mondiale della Terra.

Gli antichi Egizi 

Siamo nel 1550 a.C quando in Egitto viene composto l'Inno al Nilo, un antichissimo inno rinvenuto su quattro papiri, due tavolette di scriba e quattro ostraka, probabilmente perché veniva ricopiato dagli studenti a scuola. 

"Salute a te, o Nilo che sei uscito dalla terra, che sei venuto per far vivere l’Egitto...Portatore di nutrimento, ricco di alimenti, creatore di ogni cosa buona, signore di riverenza, dal dolce odore, benigno quando viene; è lui che fa nascere le erbe per il bestiame e dà vittime a ogni dio...È lui che ristabilisce la verità nel cuore degli uomini: chi dice menzogna gli dovrà render conto".

La figura della Natura personificata, centrale nella vita quotidiana, oggi si è decisamente persa, ma gli egizi non erano di certo gli unici a venerarla e celebrarla nel mondo antico, anche per Greci  antichi Romani era una figura fondamentale.

Greci e antichi Romani 

Per i Greci la situazione è più complessa: la Natura non è solo creatrice di vita portatrice di ogni gioia, ma anche capace di distruggere e creare sofferenza. I romani esprimeranno questi concetto in due locuzioni: locus amoenus (luogo felice) o locus horridus (luogo terribile). Oggi ci soffermiamo sul primo volto della Natura.

Siamo nel 750 a.C quando Omero, o chi per lui, si avvicina alla fine dell'ottavo canto dell'Iliade paragonando i fuochi di vedetta accesi dai Troiani alle stelle: "Come le stelle in cielo, intorno alla luna lucente brillano ardendo...così lucevano i fuochi accesi dai Teucri davanti a Ilio".

Sarà Saffo, poetessa greca nata intorno al 600 a.C e paragonata da Platone a una musa, a riprendere questi versi in un celebre frammento dedicato alla luna intitolato "Plenilunio": "Le stelle, certo, attorno alla bella luna indietro nascondono il luminoso volto, quando, piena, più che mai risplende sulla terra tutta"Scompaiono gli uomini nei versi della poetessa e rimane solo lei, la Natura: un canto alla luna e alle stelle in tutta la loro bellezza.

Anche nel mondo latino la natura è protagonista di numerose riflessioni e scritti, dal "De rerum natura" di Lucrezio alle Bucoliche di Virgilio, ma dagli studi del liceo non ho mai dimenticato le parole di Catullo.

Catullo, poeta del I secolo a.C nel carme n.7 prende in prestito la bellezza della natura per esprimere l'amore che prova nei confronti di Lesbia. Così le stelle e i granelli di sabbia diventano la misura infinta del suo amore: "O Lesbia, mi chiedi quanti baci mi bastino a saziarmi. Ecco, quanti sono i granelli di sabbia che ricoprono i campi della Libia...innumerevoli come le stelle, che, nel silenzio della notte, proteggono i segreti degli amanti".

Lord Byron e Henry David Thoreau

Facciamo un salto avanti nel tempo, abbandoniamo i nostri antenati e avviciniamoci al 1970. Non possiamo non citare i poeti del romanticismo inglese, massimi esponenti del ruolo centrale della Natura. Tra i tanti nessuno esprime la serenità che ne deriva dall'immergersene e perdersi tra i sentieri come Byron a fine 1700: " Vi è un incanto nei boschi senza sentiero. Vi è un estasi sulla spiaggia solitaria. Vi è un asilo dove nessun importuno penetra in riva alle acque del mare profondo, e vi è un armonia nel frangersi delle onde. Non amo meno gli uomini, ma più la natura e in questi miei colloqui con lei io mi libero da tutto quello che sono e da quello che ero prima, per confondermi con l’universo e sento ciò che non so esprimere e che pure non so del tutto nascondere".

Ci spostiamo in America agli inizi del 1800 e Thoreau, poeta e scrittore precursore dell'ambientalismo apre lentamente la strada a un  nuovo modo di raccontare la Natura. Dopo secoli in cui l'uomo si è allontanato da lei per abbandonarsi al progresso Thoreau propone l'avvicinamento ai boschi e al selvaggio per ritrovare la tranquillità, la saggezza, la vera vita. 

Così scrive in "Walden, vita nei boschi": "Andai nei boschi perché volevo vivere con saggezza. Volevo vivere in profondità e succhiare tutto il midollo della vita; sbaragliare tutto ciò che non era vita e non scoprire in punto di morte che non ero mai vissuto". 

 

 

 

 

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