Tre libri, diversi tra loro ma con un filo rosso che li collega.
FURORE di John Ernst Steinbeck
DESCRIZIONE: Siamo in America negli anni ‘30, ai tempi della Grande Depressione. Una famiglia di contadini dell’Oklahoma è costretta a scappare dalle proprie terre e rifugiarsi altrove, partendo per un lungo viaggio verso la California, terra della speranza.
CITAZIONE: “Come facciamo a vivere senza le nostre vite? Come sapremo di essere noi senza il nostro passato?”
PERCHÉ LO CONSIGLIO: perché racconta un viaggio che ha a che fare solo apparentemente con uno spostamento, ma che racconta in realtà la drammaticità di lasciare tutto e doversi ricostruire in una società dove si è potenti o si fa la fame. Racconta un’America che ci dice tanto sul presente e su ciò che accade oggi a qualche centinaia di chilometri dalla nostre case.
IL CACCIATORE DI AQUILONI di Khaled Hosseini
DESCRIZIONE: Amir è un giovane ragazzo che vive nella Kabul degli anni ‘70 con il suo migliore amico Hassan. Un evento drammatico deteriora irrimediabilmente il legame tra i due, che si spezzerà completamente quando Amir lascerà l’Afghanistan dopo l’invasione sovietica. Molti anni dopo Amir torna nella sua terra devastata dal regime talebano per confrontarsi con il suo passato.
CITAZIONE: “Non è vero, come dicono molti, che si può seppellire il passato. Il passato si aggrappa con i suoi artigli al presente.”
PERCHÉ LO CONSIGLIO: perché dimostra come per ritrovare se stessi a volte si debba tornare nel passato e nei luoghi che ci hanno segnato. È un viaggio nell’identità e nella coscienza per ricordare e ricostruirsi.
CONFESSO CHE HO VISSUTO di Pablo Neruda
DESCRIZIONE: È l’autobiografia postuma di Neruda, composta da frammenti, memorie, pensieri, poesie e ricordi. Un viaggio nella sua vita fatta di mille partenze e mille ritorni nella sua terra del cuore: il Cile.
CITAZIONE: “Sono tornato tante volte. Ma nessuno torna del tutto. Il ritorno è una forma del sogno.”
PERCHÉ LO CONSIGLIO: Neruda ritorna sempre nella sua terra e quando non può più farlo a causa dell’esilio lo fa comunque attraverso le parole e la memoria. La poesia diventa così un mezzo di ritorno, non fisico ma eterno, a ciò che il poeta ha amato.