Cinema e Teatro
Classici in scena
Gioco di maschera
Il teatro Stabile di Genova festeggia il nuovo anno con un Pirandello doc: “L’uomo, la bestia e la virtù”, dal 29 dicembre al 3 gennaio. Per ridere, ma anche per riflettere sui sentimenti umani. Il protagonista Geppy Gleijeses ci spiega perché
Pier Glionna | 23 dicembre 2015

Chi sono l’uomo, la bestia e la virtù? L’uomo è Paolino, il personaggio che io interpreto, un professore di italiano che dà lezioni private al figlio della signora Perella – la virtù. In questa circostanza ha modo di frequentare la donna, di cui si innamora. La signora Perrella è però sposata con un capitano – la bestia – comandante di una nave spesso fuori città. La donna abbandonata cede quindi alla corte del professore e rimane incinta. La priorità è salvare le apparenze, per cui bisognerà convincere la bestia ad avere rapporti con sua moglie – cosa che non avviene da tre anni – per fargli credere che il figlio sia suo.

Quindi ognuno recita un ruolo, indossa una maschera… Esattamente. Questo testo incarna perfettamente il nucleo del teatro pirandelliano, dello scarto tra realtà e apparenza. Paolino ucciderebbe volentieri la bestia, ma sa che bisogna rispettare le convenzioni sociali, lui stesso dice: dentro “neri come corvi, fuori bianchi come colombi. In corpo fiele, in bocca miele”.

L’uomo, la bestia e la virtù è definita una farsa: è così? Non del tutto. La caratteristica dello spettacolo è il grottesco, cioè la commistione tra comico e drammatico, tra farsa e dramma. Troppo spesso nelle rappresentazioni si è preferito privilegiare l’aspetto comico, ma il testo è fatto di tanti livelli, e la sua grandezza consiste proprio nella maestria con cui li concilia. 

Ci sono state scelte particolari per quanto riguarda la scenografia? È un allestimento simbolico, la scenografia è una metafora della realtà, non è naturalistica. Ad esempio le sedie sono protagoniste sin dalla prima scena e tornano per tutto lo spettacolo. Poi è stata scelta un’illuminazione della scena di taglio, che ha sicuramente un suo fascino. 

Anche se dei primi del ‘900 è un testo ancora attuale? Certamente sì, perché al di là dei modi dell’epoca, delle convenzioni, i sentimenti indagati – l’amore, la gelosia, la paura – sono universali. 

Qualche giorno fa è venuto a mancare Luca De Filippo, con il quale lei ha lavorato; qual è il ricordo più bello che ha di questo grande artista?  Io sono amico di Luca, ne parlo ancora al presente: abbiamo lavorato per la prima volta insieme nel 1980 in un film su Napoli in tre puntate che andò in onda su Rai3. Fu un’esperienza bella, piacevole, molto professionale, amichevole e affettuosa. Luca era una persona schiva, ma questo non significa che fosse pedante, anzi era simpaticissimo. Lui è stato un grandissimo capocomico, spesso sottovalutato come attore e questo è ingiusto. 

Cosa consiglia ai giovani che, come me, vogliono intraprendere la carriera di attori? Fare pratica di palcoscenico e studiare. Certo, conta anche il talento, ma quello o ce l’hai o non ce l’hai. Per affinare la tecnica bisogna studiare, e io consiglio di farlo presso le grandi scuole istituzionali, penso all’Accademia “Silvio D’Amico”, o anche alle scuole dei teatri nazionali. 

E poi, cimentarsi, da subito, provando a scrivere un testo e mettendolo in scena, o anche interpretando un classico, e vedere come reagisce il pubblico. Io ho cominciato come piccolo capocomico ed è stata una buona prova. Considerate però sempre che affermarsi in questo campo è molto complesso. 

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