Attualità
Io, mamma di una ragazza transessuale
Un'altra intervista per la nostra inchiesta sulla comunità LGBT: conoscere per comprendere. Cinzia, la mamma di Greta, ci ha raccontato le sue sensazioni e le difficoltà riscontrate nell'ambiente scolastico
Camilla Di Gennaro | 1 ottobre 2020

Dopo l'intervista a GretaCinzia, sua mamma, ci ha raccontato come ha vissuto il percorso di sua figlia e gli ostacoli che ha dovuto affrontare per far valere i diritti di Greta.

Quando si è accorta che Greta aveva atteggiamenti “diversi”?

L’ho capito quando aveva tre anni anche perché chiedeva il sesso di ogni cosa, anche degli oggetti e sicuramente non era una richiesta grammaticale e manifestava i gusti e le abitudini femminili. Ne ho parlato con il papà e inizialmente abbiamo pensato che potessero essere coincidenze... dopo poco abbiamo pensato che fosse gay non sapendo che esistesse la varianza di genere in età evolutiva.

Vi siete rivolti subito ad uno psicologo?

Greta e suo fratello sono nati prematuri e all’epoca i bambini prematuri erano per legge seguiti da una neuropsichiatra infantile che ha continuato a seguirci nel tempo. Ho chiesto subito a lei un parere ma purtroppo non era a conoscenza di questa condizione. Ci sono molte difficoltà a trovare psicologici preparati e bisogna anche stare attenti a rivolgersi a persone professioniste in quest’ambito.

Ha trovato supporto dalle persone intorno a lei?

Io ho un carattere abbastanza forte, parto sempre pensando di essere sola ma naturalmente insieme a suo padre. Durante il percorso ho cercato di far capire la situazione all’interno della scuola ma non ho trovato alcun tipo di interesse. Io al loro posto avrei quantomeno cercato di informarmi e capire ma non ho trovato nessuna persona curiosa, né tra i compagni, i genitori, i docenti e la dirigente scolastica che a parer mio avrebbe potuto sfruttare meglio questa situazione e trarne spunto per educare gli studenti. 

Quanto è difficile vivere all’interno di una scuola essendo perennemente considerati “diversi”? C’è una integrazione a scuola?

Parto dalle prime parole che hai detto: non è difficile, è impossibile. Greta è stata contenta del lockdown perché non riusciva più a gestire la situazione. I professori la accusavano di essere responsabile della sua mancata integrazione e Greta ha cominciato a chiudersi in bagno per pranzare nei giorni dell’orario lungo a scuola perché non riusciva a reggere la solitudine. Me lo ha raccontato per caso e io le ho detto che sarei andata a prenderla piuttosto che farla restare chiusa in bagno e così non è andata a scuola nel pomeriggio per tre mesi senza che nessuno abbia mai chiesto niente. È veramente impossibile perché non si prendono carico di problemi particolari, non hanno l’umiltà di imparare ciò che conoscono almeno per quanto riguarda la scuola media che Greta ha frequentato: adesso frequenta il primo anno del liceo artistico e mi sembra che la situazione stia migliorando ma dipende dall'ambiente che trovi, una mamma da sola non può cambiare un'intera scuola.

Quanto contano le parole che si usano per descrivere certe situazioni? Il termine “accettazione” è corretto o lo trova offensivo?

Partiamo dal presupposto che anche io ho sempre usato questo termine ma nel momento in cui una persona mi ha detto “ho accettato tua figlia” mi sono molto risentita perché non è compito di nessuno accettare un altro essere umano. In questo la società è ancora sotto zero come potevo esserlo anche io, cambiare nomi e cambiare verbi suona molto diverso ed è un modo per riuscire a cominciare ad educarci al rispetto della vita degli altri, siamo sempre stati abituati a ragionare sul termine accettazione in relazione all’approvazione degli altri e dovremmo cambiare prospettiva.

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