La fuga di cervelli ha un grande impatto sul nostro Paese: lo Stato infatti investe molte risorse nella formazione dei giovani, per poi vederli andare via lasciando un vuoto nella forza lavoro locale. Ma perché tanti giovani italiani lasciano il nostro Paese? Abbiamo analizzato i dati: alla base, c’è la percezione che i settori in crescita e le offerte in altri paesi europei siano più allettanti rispetto a quello che propone l'Italia. Secondo l'ISTAT (2025), nel 2024 sono partiti 156 mila italiani, ovvero oltre 93.000 giovani tra i 18 e i 39 anni, portando un aumento dei numeri del 36,5% rispetto all’anno precedente. Le cause che provocano lo spostamento dal proprio Paese sono diverse: la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro (2025) ritiene che il 40,5% dei giovani lascia il Paese per seguire il desiderio di fare un’esperienza di studio o lavoro all’estero, un 26,5% dell’espatrio invece è inerente alla difficoltà nel trovare un’occupazione adeguata in Italia e, infine, il 22,5% confida nel presentarsi di un’occasione interessante di studio o lavoro. Oltre a queste cause, ne vengono prese in esame anche altre, tra cui la ricerca di un’opportunità di lavoro più affine, la ricerca di maggiori stipendi e anche la volontà dei giovani di conseguire una propria crescita professionale. I motivI dello spostamento non si limitano al solo ambito lavorativo, poiché vi sono anche la ricerca di una migliore qualità di vita e il desiderio di scoprire ed esplorare nuovi Paesi e le loro culture.
Oltre alla fuga dei cervelli vi è anche un loro fenomeno: il rientro, opportunità che attrae i talenti a contrastare la fuga offrendo agevolazioni fiscali a chi torna a lavorare nel proprio Paese. Esso però non è sempre concesso, infatti la versione 2025 del Regime Impatriati introduce una selezione più rigida rispetto agli anni precedenti, ma offre anche maggiore certezza formativa. Bisogna, pertanto, avere determinate caratteristiche per riuscire a rimpatriare. Possono usufruire di questo rientro i lavoratori italiani e stranieri che hanno almeno una laurea triennale e lavorano in un certo ruolo (come l’imprenditore, esperti in materie scientifiche e liberi professionisti), coloro che hanno vissuto all’estero per almeno tre anni e che si impegnano a vivere in Italia per almeno 4 anni e che lavorino, per la maggior parte dell’anno, in Italia. In questi casi inoltre vengono proposte alcune agevolazioni una volta tornati nel proprio Paese: si prevede infatti un’esenzione fiscale del 50% sui redditi da lavoro dipendente o autonomo prodotti in Italia, non applicabile a tutte le situazioni. In questa fascia infatti sono esclusi i redditi da lavori d’impresa, prodotti quindi da società o ditte individuali. Tali benefici però non sono validi per sempre, essi hanno una durata di cinque anni, prorogabile in casi particolari. Una possibilità da non sottovalutare è inoltre quella di cumulare tale regime con l’agevolazione per docenti e ricercatori. Con queste proposte lo Stato ha come obiettivo quello di attrarre competenze, professionalità e capitale umano di alto livello. In circostanze specifiche tale fenomeno è ostacolato da salari più bassi, dalle minori possibilità di crescita e da carenti servizi pubblici. La Fondazione Studi Consulenti del Lavoro (2025) sostiene che un 30% degli espatriati abbia intenzione di rimpatriare. Ciò può essere determinato da motivi familiari e personali per un 58,8% dei casi, per il 37,9% l'opportunità di un'occasione di lavoro in Italia oppure nel 29,9% dei casi per la possibilità di usufruire di incentivi fiscali per il rientro. L’associazione giovanile AsSociata ha di recente (giugno 2025) condotto un sondaggio tra i “cervelli in fuga” per capire quali sono le condizioni che li farebbero rientrare in Italia: lavoro ben retribuito e coerente (80%), più meritocrazia e trasparenza (32%), incentivi fiscali di rientro (26%), burocrazia semplificata (22%) e servizi pubblici più efficienti (20%).