Cinema e Teatro
Futuri maestri
Si apre la rassegna multidisciplinare Futuri maestri: cinque eventi speciali, una mostra, nove sere di spettacolo, nove maestri del nostro tempo e mille ragazzi. Ce ne parla Andrea Paolucci, condirettore artistico
Gaia Ravazzi | 15 May 2017

Da  dove è nata l’idea alla base della rassegna Futuri maestri?

Noi lavoriamo da tanti anni sull’idea di fare un teatro partecipato, cioè di coinvolgere pezzi della città per fare insieme arte e percorsi di bellezza. Spesso lavoriamo con professionisti e non professionisti cercando di immaginare dei progetti teatrali che possono essere condivisi. In realtà è una tradizione antica quella di lavorare con pezzi di città. Quest’anno, mettendo un po’ a frutto il lavoro che abbiamo fatto negli ultimi vent’anni nelle scuole, abbiamo pensato che il “pezzo di città” che volevamo indagare era quello dei ragazzi. Quindi, tutto il nostro mondo di laboratori nelle scuole, di spettacoli fatti nelle varie programmazioni quest’anno trovano un punto d’arrivo in questo progetto che vede come protagonisti mille ragazzi dai 3 ai 18 anni ai quali abbiamo chiesto di raccontarsi, raccontarci cosa vedono nel mondo, come lo vedono, come descriverebbero il mondo e i tempi in cui vivono. Gli abbiamo chiesto in un atto di immaginazione come vorrebbero costruire il loro mondo nei prossimi anni. Li abbiamo messi al centro e abbiamo iniziato ad ascoltarli, questo è stato il primo atto: li abbiamo intervistati, li abbiamo fatti scrivere, gli abbiamo chiesto cosa pensavano di alcune parole chiave da cui volevamo farli partire nel ragionamento. Abbiamo dato cinque parole chiave, scelte tra quelle che si leggono di più sui giornali (amore, guerra, lavoro, crisi, migrazione) e gli abbiamo chiesto di parlarne. È bello vedere come bambini di tre anni declinano la parola amore, adolescenti che raccontano il loro punto di vista sulla crisi, anche quella quotidiana in famiglia, non solo del Paese. È stato un modo per entrare nel mondo dei ragazzi, scoprire una ricchezza, sensibilità. Tutto il materiale, interviste e racconti, poi diventerà un copione da cui verrà fuori questo spettacolo che costruiremo e stiamo costruendo in questi mesi e che andrà in scena dal 3 all’11 giugno. Ci faceva piacere portare i ragazzi al centro dell’attenzione mettendoli anche fisicamente al centro della città nel teatro buono e bello.

 

Che valore hanno secondo lei le diverse arti nella costruzione di una coscienza civile?

Ovviamente l’arte è qualcosa che attiene al bello, allo sguardo sensibile. Ci parla a ricettori che non sono il cervello, ma sono il cuore, la pancia. È una modalità quella di leggere il mondo attraverso l’arte che mette in moto muscoli spesso atrofizzati. Il gioco per noi era poter dare ai ragazzi la percezione che l’arte può essere per loro un modello per raccontarsi. Quello che non si riesce a dire magari seduti a tavola a pranzo con i propri genitori può essere detto in una canzone, può essere messo dentro ad un disegno. Il teatro in questo è l’arte che più è capace di raccontare la realtà per metafore, suggestioni a quell’età che va dai 3 ai 18 anni. In ognuna di queste età il teatro è uno strumento attraverso cui, specialmente quando lo fanno, si esprimono. Un’arte partecipata che è poi preludio all’arte vissuta da spettatore.

 

Lo spettacolo teatrale Futuri maestri è il fulcro della rassegna. Qual è il messaggio che volete far arrivare ai ragazzi e qual è il messaggio che i ragazzi vogliono far arrivare al pubblico?

Intanto il messaggio non è uno, sono tanti e forse non è neanche corretto parlare di messaggio. In questo momento loro ci stanno restituendo anche la complessità e diversità di punti di vista. Così come per gli adulti, parlando in birreria affrontando le cinque parole chiave i punti di vista sono tanti, così anche lavorando con i ragazzi ti rendi conto che ognuno ha il suo punto di vista, la sua opinione, il suo sguardo. Quello che viene fuori non è un messaggio di una generazione, è l’articolazione della diversa sensibilità che una massa indistinta ha.  Normalmente li definiamo “i giovani”, come un’unica massa acritica e senza diritto di autonomia, in realtà lì dentro trovi di tutto. Trovi rispecchiata la distinzione che poi trovi negli adulti. Ci sono però in questi sguardi molteplici tratti comuni: c’è una grande energia positiva in come guardano il futuro. Forse noi adulti siamo più scettici, cinici. Pur pensando ad un proprio futuro diverso, quello che li accomuna è una grande voglia di essere protagonisti, di esserci, di costruirselo. Un tratto distintivo è proprio la forza eversiva, gioiosa di queste mille voci, mille corpi che giocheranno a raccontarci quello che pensano.

 

Secondo i ragazzi sono già sulla buona strada per diventare futuri maestri?

Ognuno di noi ha la capacità di essere maestro di qualcosa o per qualcuno, di essere d’esempio. Abbiamo pensato di far incontrare ai ragazzi persone che fossero in grado di stimolarli, di dargli idee, persone che prima di loro avevano affrontato il problema di come trasformare il proprio sguardo in uno sguardo artistico. Sono stati chiamati personaggi che avevano questa capacità di trasmettere delle capacità, artisti che avevano letto il mondo attraverso le proprie capacità chi di attore, scrittore, artista. 

 
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